a) Rifletti: vivi in una casa o in una semplice abitazione? Mostraci dove e con chi vivi, come se fosse il racconto della tua vita…
“La storia della psichiatria è una storia di case, più o meno chiuse, più o meno isolate, più o meno vigilate” (Saraceno), di possibilità ed opportunità di abitare, di modalità e qualità dell’abitare, di accessibilità, regole, diritti, proprietà, merci, oggetti, cose, relazioni, scambi…
L’abitare ha a che vedere non solo con lo stare in un luogo, con l’avere dimora, ma anche con l’insieme delle norme che regolano lo stare o il dimorare, con l’insieme dei rapporti e delle relazioni che in quel luogo si instaurano, con gli oggetti che vi sono contenuti, con la proprietà.
Esiste una differenza tra abitare la propria casa, abitare una casa di altri, abitare in una pensione, stare in uno ostello, in un campo profughi… e tale differenza ha a che fare con le regole, l’accessibilità, la proprietà, la produzione di senso, le relazioni.
Nel manicomio non si abita, si sta in un luogo costruito, strutturato, organizzato intorno al controllo della pericolosità presunta del/lla malato/a di mente, insieme a gruppi di persone con cui si è costretti/e a convivere, in spazi chiusi e regolamentati da altri.
b) Sei straniero? Sei italiano? Sei nato in Piemonte? La tua è una famiglia conservatrice delle tradizioni? Cosa senti, cosa vedi intorno a te?
La nostra idea del sociale, della comunità e dell’umano vivere insieme ad altri è ancora quella che i nostri bisnonni hanno tramandato fino ai nostri padri e che noi abbiamo assorbito in pieno. Ci troviamo come sostiene Khun di fronte ad un gap tra come siamo “programmati” ed “evoluti” per vivere immersi in piccole comunità dove tutti conoscono tutti, e la realtà della “vita moderna” nella quale l’alienazione sembra la regola ed il vicino uno sconosciuto. Se teniamo conto dei processi di globalizzazione in atto possiamo aggiungere che “La globalizzazione influenza non solo gli avvenimenti su scala mondiale ma anche la vita quotidiana” (Giddens, 1994).
Il rischio, conferma Spano è quello di perdere “[..] identità storico-culturali, esperienze singolari, valori e risorse locali, forme di conoscenza, sistemi di relazioni [..] determinando (il corsivo è nostro) una drammatica separazione tra individuo e gruppo, comunità degli altri individui. Con il soggetto autoreferenziato, la perdita della dimensione della socialità, del legame sociale non può che depauperare il senso dell’esperienza umana. Oggi, sembra quasi non esista più nessuno disposto a riconoscere che la sua identità sia, in realtà, un prodotto sociale. Siamo di fronte a un mito dei più radicati e profondi della storia dell’umanità, ma anche tra i più pericolosi, il mito dell’autogenerazione del soggetto.” (in Koisema “La costruzione sociale del territorio”, Rivista del Dipartimento di Sociologia, Università degli Studi di Padova)
Per approfondimenti a) e b) si ringrazia il Dott. Diego Menchi dell’Associazione Psicopoint
Potrai, inoltre, riflettere e indagare:
- la composizione dello spazio cittadino, inteso come centro aggregativo. Cosa ti colpisce in una città?
Un piccolo spunto:”… Dovremmo ampliare la nozione di ambiente nel senso di una “ecologia del profondo”, … poiché qualunque cosa abbiamo intorno può nutrire la nostra anima in quanto alimenta l’immaginazione. … L’ambiente è intriso di anima, inestricabilmente fuso con noi. Via via che si trasforma la nozione di ambiente, anche il nostro modo di vedere l’ambiente cambia. Diventa difficile dividere con un taglio netto soggetto e oggetto, qui dentro e là fuori.… Dove finisce l’ambiente e dove comincio io, e anzi come posso cominciare senza essere in un qualche luogo, coinvolto intimamente e nutrito dalla natura del mondo?”, James Hillman, L’anima dei luoghi
- Porta Palazzo, zone torinesi, e luoghi che presentino in qualche modo un contesto multiculturale simile a quello di Porta Palazzo.
Un piccolo spunto: “Oltre a essere la mia città, Torino è anche la mia casa. E come ogni casa contiene un ingresso, la stazione di Porta Nuova, una cucina, il mercato di Porta Palazzo, un bagno, il Po, e poi naturalmente il salotto di Piazza San Carlo, e quel terrazzo che è il Parco del Valentino, il ripostiglio del Balon, e una quantità di altre cose e di altre storie. Aprire questo libro è un po’ come entrare in casa nostra. Mia. Vostra.”, Giuseppe Culicchia, Torino è casa mia.
- Mostrare un singolo quartiere, microcittà nelle città, veri e propri cuori pulsanti dalle geografie indefinite.
Un piccolo spunto: “Eppure possiamo leggerci dentro al cuore l’uno con l’altro, seguirci in ogni strada o piazza e fra le mura delle nostre case di Quartiere. I nostri sogni sono stati così uguali…”, Vasco Pratolini, Il Quartiere.
- La funzione della piazza in una città. Considerando Piazza della Repubblica, come centro nevralgico del quartiere di Porta Palazzo, fulcro nodale sia del commercio che della consapevolezza della diversità.
“Sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto.”, Alessandro Baricco, City.
- L’idea di strada, un flusso di idee continuo, molteplici punti in una linea retta con incontri/scontri.
“Un uomo percorre tutte le strade del mondo per trovare ciò che gli serve, ma deve tornare a casa per scoprirla”, George Bernard Shaw, Goccia di rugiada lontana.
“Lungo la strada tante facce diventano una che finisci per dimenticare o la confondi con la luna.”, Ron, Una città per cantare.
- La mia, la tua, la “nostra” casa. L’abitazione, in particolar modo, intesa come un fatto urbano determinante per la fisionomia dell’ambiente sociale e culturale in cui agisce la popolazione insediata.
“Le case sono fatte per viverci, non per essere guardate”, Francesco Bacone, Saggi
- Chi sei? Un abitante del mondo? Ti senti diverso? Come vivi questa diversità? In ambienti multiculturali ciò che si percepisce dall’esterno potrebbe far pensare a una discreta tolleranza, una convivenza sufficientemente civile. Ma, secondo te, è una vera e propria comprensione degli altri?
“Vista dall’interno, una cultura non ha bisogno di presentarsi come una totalità; piuttosto essa forma un orizzonte che recede ogni qualvolta uno gli si approssimi.”, Sevla Benhabib, La rivendicazione dell’identità culturale.
Altre brevi riflessioni estratte da Literary.it
Il sociologo Z. Bauman (Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori, Milano 2007) sostiene che “Abbiamo bisogno di una visione della cultura tracciata in un altro modo. Punto di partenza è ciò che è abituale, quotidiano, evidente, il mondo a portata della mano e dell’occhio. Scaturisce la visione di una cultura tutta movimento, fluida e liquefatta”.
Sicuramente non è più il mondo ottocentesco delle corrispondenze. Le corrispondenze di oggi non sono i ruscelli e gli alberi delle foreste, ma gli oggetti, i treni, gli aerei, anche perché “sopra il mare di pece/ si vola a basso costo/ i sedili inzuppati di giallo/…le città da prenotare”. Rimane il mondo fluido delle emozioni, da inseguire con i versi della poesia, con l’obiettivo della macchina fotografica e, perché no, con i suoni della musica contemporanea. La partita da giocare è proprio questa.
A Londra, Parigi, Milano o a Roma si passeggia nello stesso modo: identici i negozi, i mimi, i venditori di cibarie, le macchine per il cambio di valuta, il senso di solitudine. Per sentirci in un contesto sociale non ci rimane che guardare lo spettacolo degli altri che camminano e, a loro volta, ci osservano: uno spettacolo dove attori e spettatori si confondono in un reciproco e continuo scambio delle parti. Nello stesso tempo, le nostre città “si trasformano in musei illuminati, settori riservati e isole proprio mentre tangenziali, autostrade, treni ad alta velocità e strade a scorrimento veloce le aggirano”.
“Ormai rimane solo la città, su questo pianeta di cui gli uomini hanno fatto il giro. Le sue nuove forme evocano il duplice orizzonte del nostro avvenire: l’utopia di un mondo unificato e il sogno di un universo da esplorare”, Augè.